Fra le abitazioni a due piani, con atrio centrale e tetto a quattro falde compluviate, una tipologia conosciuta anche a Pompei nel corso del II sec. a.C., spicca nel quartiere la cosiddetta domus di Medea, parzialmente individuata dal Falchi ed interamente scavata alla fine degli anni ottanta del secolo scorso dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana.
Il rinvenimento, all’interno dell’atrio, di ulteriori frammenti di lastre in terracotta del tipo di quelle già recuperate dal Falchi nel 1896, ha consentito di ipotizzare che le lastre, disposte a formare un fregio, decorassero la corte interna porticata della casa, svincolando queste decorazioni da un necessario riferimento a templi e santuari e riferendole anche alle abitazioni dei membri della classe aristocratica dominante.
La ricomposizione e lo studio dei frammenti (esposti nella sala F del museo dal 15 maggio 2004) ha consentito all’archeologo Mario Cygielman di interpretare il racconto mitologico che si svolgeva sulle lastre del fregio, articolato in una serie di episodi riconducibili alle gesta della tragica eroina Medea e culminanti nel quadro maggiormente conservato che immortala il disperato atto assassino compiuto dalla sciagurata principessa, figlia del re della Colchide.
Il richiamo al mitico viaggio degli Argonauti, alle cui peregrinazioni sarebbe connessa la stessa fondazione di Vetulonia, giustificherebbe la scelta di questo mito per la decorazione di una casa privata, ove il proprietario intendesse celebrare le nobili origini del proprio casato o della propria attività, verosimilmente espletata nella gestione del traffico commerciale marittimo o nel controllo dell’estrazione dei metalli, cui la navigazione degli Argonauti e la stessa spasmodica ricerca del vello d’oro potevano costituire la più diretta allusione.
Il mito degli Argonauti di Medea
La spedizione degli Argonauti, capeggiata da Giasòne, salpa da Iolco in Tessaglia con la nave Argo alla ricerca del vello d’oro dell’ariete di Frisso, la pelliccia dell’ariete miracoloso che aveva portato Frisso da Tebe nella Còlchide, sull’attuale Mar Nero. Qui Frisso aveva sacrificato l’animale ed il vello era stato consacrato a Zeus.
Qui regna Eèta, padre di Medèa, che, innamoratasi di Giasòne, si adopera in ogni modo per aiutarlo a portare a termine l’impresa. Dopo varie peregrinazioni, Medea e Giasone giungono a Corinto, dove Giasone manifesta l’intenzione di sposare Creusa, la giovane figlia del re Creònte.
Tradita nell’amore, Medea, impazzita, medita una feroce vendetta. D’accordo con il centauro Néttos, invia alla futura sposa, come regalo di nozze, una veste impregnata di veleno che, indossata dalla sventurata Creusa, come un fuoco le divorerà le membra.
Per colpire l’amante nei suoi affetti più cari, perpetra quindi l’uccisione dei due giovanissimi figli avuti dallo stesso Giasone e fugge da Corinto su un carro trainato da serpenti.